Il terrore che sarebbe durato per ventotto anni, ma forse di più, ebbe inizio, per quel che mi è dato di sapere e narrare, con una bambola di pezza che scendeva lungo un marciapiede in un rivolo gonfio di pioggia.
La bambola di pezza beccheggiò, s'inclinò, si raddrizzò, affrontò con coraggio i gorghi infidi e proseguì per la sua rotta giù per George Street, verso il semaforo che segnava l'incrocio. Le tre lampade disposte in verticale su tutti i lati del semaforo erano spente, in quel pomeriggio d'autunno del 1998, e spente erano anche le finestre di tutte le case. Pioveva ininterrottamente ormai da una settimana e da due giorni si erano alzati i venti. Allora quasi tutti i quartieri di Houston erano rimasti senza corrente e l'erogazione non era stata ancora ripristinata.
Una bambina in impermeabile azzurro celeste e stivaletti rosa correva allegramente dietro alla bambola di pezza. La pioggia era tutt'altro che cessata, ma la sua violenza si andava finalmente allentando. Tamburellava sul cappuccio giallo del bimbo e suonava alle sue orecchie come pioggia su una tettoia: un rumore amico, quasi intimo. Il bambino con l'impermeabile azzurro celeste era Abbie Acacia. Aveva sei anni. Suo fratello William, conosciuto fra i ragazzini della scuola elementare di Houston (e anche fra gli insegnanti, che mai avrebbero usato quel soprannome in sua presenza) come Ballet Tartaglia, era a casa a smaltire i postumi di una brutta influenza. Nell'autunno del 1998, otto mesi prima che l'orrore si manifestasse definivamente e ventotto anni prima dello scontro finale, Ballet Tartaglia aveva undici anni.
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